LE GALEE DEL “LEMANO”

 

di Olivier Gonet

dott. es scienze 

 

Nascita del lago

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 Barche del Lemano

 

Qui, sulle rive del lago, nella amena regione dei vigneti, una volta furono costruite delle fortezze spaventose, dei potenti eserciti, delle navi provviste di cannoni, di rostri d’abbordaggio e clave piombate.

 

 

 

Castello di Chillon

 

litografia antica anonima

 

 

Ma molto tempo è passato, le mura delle fortezze inespugnabili si sono coperte di edera, i gerani hanno invaso le finestre delle caserme, le navi da guerra ormai inutili, sono marcite nei porti e il ricordo di  questo grande miscuglio di cattiveria umana è svanito.

 

Ne resta pertanto qualche traccia, annotazioni in vecchi registri contabili dell’amministrazione. In particolare quelli della cancelleria di Chillon che risalgono al XIIIesimo secolo. Questi documenti sono ancora oggi accuratamente conservati negli archivi della città di Torino dove hanno seguito i duchi di Savoia nella loro lenta ascesa al trono d’Italia.

 

Perduto in qualche parte, fra tante venerabili addizioni, si trova il primo accenno scritto a proposito di un battello che avrebbe navigato sul lago Lemano.

 

L’imbarcazione di svago del Conte e castellano di Chillon.

 

Si narra che egli “si mise in una barca e prese il vento sul lago” Una trentina di anni prima del giuramento di Grütli, il conte ordinò di tirare la sua barca a riva e di ripararla. Qualche settimana dopo, il contabile del castello annotava, a penna d’oca, con una bella scrittura che il prezzo dei chiodi, della verniciatura e impeciatura dell’imbarcazione ammontava a quattro libre e nove denari.

 

Senza saperlo, il brav’uomo stava scrivendo proprio l’inizio della gloriosa storia dei Vascelli del Lemano !

 

Questa storia fu straordinaria. Lo si sa perché oramai l’amministrazione del castello, prese l’abitudine di annotare tutti i fatti e misfatti del piccolo mondo di marinai, carpentieri e castellani occupati a creare una flotta savoiarda da guerra sulle rive del lago .

 

 

Una vera armata!

 

 

 

 

 

Numerose decine di battelli di cui il più grande aveva bisogno di un equipaggio di due o trecento marinai.

 

La prima di queste grandi imbarcazioni fu varata nel 1287. Era una galea, probabilmente simile a quelle che combattevano nel Mediterraneo a quel tempo. Un lungo scafo affusolato come una spada e, sul davanti, un potente sperone per sbudellare i battelli avversari, scagliandosi a tutti remi sul fianco; dietro una cabina per proteggere gli ufficiali.

 

 

Una galea del Lemano

disegno di O.Gonet

 

Gli architetti, venuti specialmente da Genova, per dirigere il cantiere, furono probabilmente spaventati dai rigori dell’inverno del Lemano per cui istallarono dei caminetti per scaldare le cabine del battello.

I soldati stavano a prua. Dietro loro, una lunga passerella separava le file di rematori: il ritmo della frusta degli aguzzini stimolava lo zelo della ciurma.

 

Allorquando il vento era favorevole, si issavano le vele latine: Due grandi triangoli fregiati delle armi dei Savoia, la mezzana ed il trinchetto. Il contabile del castello di Chillon ha annotato che ci vollero ben duecento “aulnes” di stoffa per confezionare queste ali. (quasi trecento metri quadrati)

 

E questa meravigliosa galea del Lemano fu solo la prima di una serie di navi ancor più straordinarie.

 

La più grande fu varata verso il l’anno 1300. Questa poteva portare fino a trecentottanta marinai. Non solo rematori, ma anche arcieri, soldati e ufficiali che vivevano a bordo con tutti i loro domestici. E quando questi enormi bastimenti prendevano il largo, c’era quasi sempre, a scorta, una schiera di navi più piccole.

 

 

Vi immaginate lo spettacolo grandioso e alquanto comico della flotta savoiarda che veleggia al largo della nostra amena costa?  Sovraccarica di vessilli, brulicante di soldati, scintillante delle armature dei signori… il ritmo pesante dei remi , gli ordini dei sottufficiali...al largo di Morges, Rolle o Nyon che non erano allora che poveri, piccoli borghi agricoli, picchiettati da pollai.

 

Non potendosi illustrare in vere battaglie navali: le galee savoiarde si dedicavano a saccheggiare città e villaggi dove depredavano i pacifici battelli mercantili.

 

 

Questo fino al 1343.

 

Perché in quell’anno la collera degli Dei si riversò improvvisamente sul capo di questi malvagi.

 

In una bella mattina di primavera, un incendio divampa in una vecchia casa di Villeneuve. In pochi istanti si propaga, attraverso la strada, a tutto il quartiere. La gente corre in tutte le direzioni, grida, s’affolla.

 

Il “foehn”(vento caldo e violento) si solleva, metà città brucia.

 

Un enorme fumo nero, carico di tizzoni ardenti è ora sospeso sulla rada dove  si trovano tutti i battelli della flotta. In pochi istanti essi prendono fuoco, ed una indescrivibile  confusione di navi, di remi e di relitti invade le rive del lago.

 

Una sola galea riuscirà a scampare a quell’incendio. Essa si lancerà, attraverso le fiamme spinta dal vento e dalle onde. Ma il fuoco ha raggiunto il ponte  malgrado gli sforzi dei marinai, ed è come un legno fumante che finalmente getta l’ancora al riparo del castello di Chillon.

 

 

Un'altra galea

disegno di O.Gonet

 

Saranno necessari due anni di lavoro e sessantamila chiodi per ripararla! Questo è per lo meno ciò che è  scritto nei libri di contabilità.

 

Tutti gli altri battelli affondarono. L’impresa che oggi utilizza la ghiaia del delta del Rodano ritrova qualche volta dei rottami calcificati: qualche tavola, un pezzo di chiglia. Prova che i relitti sono ancora là, affondati nella massa di ghiaia, ma ben furbo chi saprà trovarli ed estrarli senza romperli.

 

(con il permesso dell’archeologo cantonale, io stesso, con diverse tecniche della geofisica moderna, ho esplorato a lungo tutta la zona a bordo del motoscafo Augusto Piccard, ma non ho ottenuto nessun risultato. A mio parere le galee sono andate perdute. Tuttavia se un lettore di questo sito pensa di aver trovato qualcosa di nuovo mi mandi pure un e-mail: ogonet@ctv.es ).

 

 

Dopo questa catastrofe, i cantieri navali furono totalmente ricostruiti, ma ci vollero dieci anni di lavoro.

 

Tutto ciò è  segnato nei libri contabili del castello di Chillon . Senza volerlo probabilmente, il nostro vecchio amico contabile descrisse il tran-tran quotidiano della vita militare del Medio-Evo con le parole, le espressioni dell’epoca.

 

All’origine molti termini tecnici utilizzati sui battelli del Lemano erano stati portati dagli operai genovesi che lavoravano nei cantieri savoiardi. Ma con il tempo, dal tono delle pagine del libro, si sente che si addolcisce graziosamente di un antichissimo accento valdese. Così, le “garcettes de ris”, che consistono in cordame  utilizzato per diminuire la velatura quando il vento si rinforza, si chiamavano in italiano dell’epoca, i “metafioni” divennero “metafions”e poi “metafis”. Ancora più interessante è l’evoluzione della parola “peguola”. In italiano indica il barile che contiene il catrame che serve a calafatare lo scafo. Sulla riva del lago si trasforma in “pègue” e poi, più semplicemente, in “pèdze”. Quel catrame che impecia le dita! I Valdesi  riconosceranno bene un termine utilizzato ancora oggi di cui il significato non è per niente cambiato.

 

Disgraziatamente quei meravigliosi libri di contabilità si fermano al 1352.  I volumi più recenti sono scomparsi e, a partire da quella data, l’oblio avvolge più o meno la vita  dei marinai d’acqua dolce ed i loro superbi battelli. Un oblio che dura fino all’invasione bernese “del Pais de Vaud” a metà del secolo XVI esimo .

 

Dopo due secoli velati di mistero, la flotta savoiarda riappare allora fugacemente, ma per l’ultima volta.

 

In questo momento della storia politica delle sponde del Lemano, i ginevrini si considerarono pericolosamente circondati dalle armate del loro vicino, il Duca di Savoia. Il Consiglio della città decise dunque di chiedere aiuto ai cari concittadini di Berna, i quali, ben felici all’idea di ingrandirsi verso il Sud, si prepararono subito ad invadere i territori ducali.

 

 

L’armata di Berna si mette in moto al ritmo delicato delle sue marce militari. C’è qualche cannone, qualche ordigno di assedio e soprattutto una lunga fila di carri vuoti destinati a riportare il bottino.

 

 

Si tratta, soprattutto, di non sprecare nulla!

 

 

I bravi cittadini valdesi,  il berretto spinto indietro con un colpo di pollice, una pagliuzza a metà masticata appesa all’angolo della bocca,  guardavano passare i soldati senza fiatare.

 

Uno dei pochi luoghi dove si è manifestata una qualche resistenza è il castello di Chillon, difeso fra le altre, da una ultima e vecchia galea.

 

Di fronte a questa difficoltá imprevista, lo stato-maggiore di Berna,  non amando il rischio, sollecita l’aiuto dei ginevrini. Questi la accordano con entusiasmo .

 

Ginevra riunisce tutti gli avventurieri che riesce a  trovare e li imbarca su una flottiglia improvvisata. Erano  quattro pesanti navi armate di cannoni e due grandi barconi caricati di balle di lana, nella speranza, un po’ ingenua che potessero servire da riparo galleggiante contro l’artiglieria del castello.

 

A vele spiegate, tutti i remi in acqua, la flotta si scaglia attraverso il lago per“attaccare Chillon.” E’ l’ora della vendetta e lo si grida forte a Ginevra. Si alza il pugno fermo verso l’orizzonte. Il sangue scorrerà sicuramente a fiumi.

 

Appena arrivati la battaglia s’accende. Un consistente bombardamento per cominciare. E mentre il fumo dei cannoni si alza sopra i pioppi delle sponde, ci si prepara all’attacco.

 

 

Ma il comandante del castello, Antoine de Beaufort, non ha per nulla intenzione di porre resistenza. Egli non dispone  che di una debole guarnigione: alcuni italiani, un pugno di valdesi sparpagliati dietro le numerose saettiere lungo il cammino di ronda. Malauguratamente l’armata di Berna non ha una buonissima reputazione. Una resa pura e semplice avrebbe attirato delle rappresaglie soprattutto contro i valdesi restati fedeli al duca di Savoia.

 

 

Allora, per guadagnare tempo, Beaufort finge una sorta di negoziazione. A gran voce, sopra le mura, egli finge di voler patteggiare. I ginevrini, come sempre sboccati, rispondono gridando insulti. Un po’ ci si ascoltava, si mercanteggiava, si parlava di garanzie. A momenti si stizziscono, paonazzi, dopo si riconciliano con dignità. Si torna a minacciare, qualcuno si affaccia ad una finestra per insultare gli assedianti che rispondono con parole indignate...E durante questa commedia, al riparo delle mura, i soldati savoiardi si affrettano a caricare su l’ultima vecchia galea: gli archivi, l’oro, gli impiegati, l’artiglieria.

 

All’improvviso le finestre del castello si chiudono sul naso dei ginevrini, e la galea, tutti stendardi al vento, si slancia per l’ultima volta in piena luce sul Lago.

 

 

 

Galea secondo P.Breugel

particolare

 

Alla potente cadenza dei remi ella attraverserà la flotta nemica e si avvierà verso il largo.

 

 Vista la differenza di velocità, l’inseguimento è ridicolo. Quando Beaufort arriva nel porto di Tourronde in Savoia, il suo anticipo è tale che i marinai hanno il tempo di distruggere i cannoni, di dar fuoco al battello e di nascondersi tra le montagne.

 

I  ginevrini non trovano che cenere e fumo.

 

Forse sulla riva, una vecchia scopava tranquillamente davanti alla sua porta, forse era un po’ sorda, aveva la vista debole, non notò nulla. Ed è così che è finito il tempo delle galee savoiarde. Non si ammireranno mai più dei così begli uccelli da guerra e di prestigio sul lago  Lemano.

 

 

 

 

* * *

 

 

 

Una volta conquistato il castello di Chillon, le truppe di Berna contornarono il lago Lemano e si impadronirono di tutto il Chablais savoiardo.

 

Vi rimasero per  trenta anni, fino a che, per ragioni di alta politica europea, si decise, nel  Cateau-Cambrésis, di restituire al duca di Savoia tutte le proprietà del Lemano, fatta eccezione della regione di Vaud.

 

 

Al di sopra dello specchio azzurro del lago  Lemano, i savoiardi si ritrovarono dunque di fronte agli alleati bernesi e ginevrini.

 

Ma nel giardino dei cavilli, la fioritura non tarda molto! Ecco ritornato il tempo delle fulminanti dichiarazioni  e delle bricconerie militari:

 

Una imbarcazione ginevrina, carica di grano, viene depredata dai  savoiardi. Per vendicarsi, Ginevra manda tre battelli  a saccheggiare La Belotte. Il duca infuriatissimo fa attaccare una galea che si dirige  a Morges.

 

La panna comincia a montare!

 

Il duca ora prepara uno sbarco nello stesso porto di Ginevra, ma è sorpreso dalla rapidità dei suoi avversari che si impadroniscono,  per primi, del suo bel castello di Ripaille e per infastidirlo richiudono a grandi palate, il bel porto che egli aveva fatto costruire proprio davanti alla sua dimora.

 

Ritornando alla loro sponda, i ginevrini approfittano del viaggio per assaltare il Barone d’Hermance.  Quest’ultimo aveva avuto l’idea assurda di comprare qualche decina di schiavi in Turchia e di allestire una piccola flotta di galee pirata.

 

 

Dei pirati Turchi  sul nostro bel lago!

 

 

L’esperimento non durò a lungo. Il barone e i suoi schiavi furono definitivamente annientati dai vascelli da guerra ginevrini.

 

 

Ed ecco l’episodio ben noto del tentativo savoiardo di scalare le mura di cinta di Ginevra: le scodelle di minestra versate sulla testa dei soldati, la loro fuga indiavolata nella notte. Insomma, come commenterà il duca stesso: “una bella stronzata!”

 

Ora  è il turno dei Ginevrini.

 

Una delle loro fregate si lancia verso l’alto Lago. Essa  saccheggia, depreda tutto ciò che galleggia al largo di Chablais e ritorna con quattordici battelli prigionieri, lasciando dietro di sé una scia di scafi affondati, naufraghi ed incendi.

 

 

Intanto le autorità di Berna si maceravano nella riflessione!

 

E’ che le Loro Eccellenze sono tormentate da un gusto eccessivo per l’economia. A Berna si amano le piccole astuzie  che schivano la spesa, le piccole meschinerie che permettono di far pagare gli altri. Finché,  finalmente, e davanti alla gravità degli avvenimenti, si rassegnano alla costruzione di qualche vascello da difesa. Decidono che i boscaioli devono abbattere quattro cento querce e trenta alberi di noce a spese della città di Nyon e che sarebbero stati i fabbri di Vallorbe a fabbricare i chiodi.

 

 

Restava da trovare l’inevitabile specialista italiano  in costruzioni navali. Si cerca ovunque e si finisce col trovare un individuo che sconta una pena in fondo alle prigioni di Ginevra. E’ un uomo di mestiere e per di più non costa niente farlo liberare. L’amministrazione poi segnala che un carpentiere di barche, un certo Vincenzo Quagliato, sollecita la sua ammissione alla borghesia. Riuscirono ad assumerlo gratuitamente esonerandolo dai quattro scudi necessari per accedere alla sua richiesta.

 

 

Ecco un bel e buon risparmio!

 

 

Ma rimanevano da costruire i battelli stessi e perciò bisognava ben rassegnarsi a pagare qualche cosa. Allora, le Loro Eccellenze, dapprima si scoraggiarono poi proposero ai ginevrini  di completare essi stessi e soprattutto a loro spese, questo abbozzo di flotta.

 

In realtà non è che al momento della battaglia di Villmergen, che gli abitanti di Berna  iniziarono seriamente la costruzione della flotta.

 

E’ che a questo punto la situazione politica si è particolarmente deteriorata: la Francia minaccia direttamente Berna, la Savoia fa finta di dar appoggio ai cattolici. Non si tratta più solamente di difendere i piccoli commercianti e i pescatori valdesi contro la ferocia dei pirati savoiardi, è la Patria stessa che è in pericolo.

 

 

Allora tutte le difficoltà svaniscono.

 

 

Viene dato l’ordine di mettere in cantiere due veri vascelli da guerra:

 

“Il Grande ed il Piccolo Orso” .

 

 

Progetto di decorazione per il vascello ARGOS di Pierre Puget

(disegno su carta)

 

 

 

Due superbe  imbarcazioni di una ventina di metri di lunghezza, tutte sfavillanti di sculture dorate.

 

Disgraziatamente sono i funzionari pubblici di Berna che hanno il compito di controllare tutte le spese della costruzione, ed essi lavorano con tale lentezza che passano i mesi e poi gli anni.

 

 

Quando tutto è, in fine, pronto, la pace regna sull’Europa .

 

 

Certamente l’entusiasmo per la flotta  del Lemano diminuì d’importanza. Presto, si deve mettere fine alle spese. Non si tratta più di pagare la manutenzione dei vascelli. Appena varati sul lago, ancora tutti collanti di pittura fresca, vengono destinati ad imprese private. I gloriosi ornamenti scolpiti non impediranno loro di far carriera nel tranquillo commercio di legname e di vino.

 

 

A Ginevra, al contrario, non si pensa a disarmare: si conosce troppo bene  il rischio  della competizione  con i savoiardi.

 

 

Nel 1678, una nuova nave ammiraglia  è varata nella rada: “Le Soleil”. Una magnifica fregata, anch’essa  brillantemente decorata.  Avrà a bordo  un centinaio di marinai e di ufficiali fra i quali un chirurgo e un pastore!

 

 

               

*  *  *

 

 

A distanza di qualche secolo è curioso esaminare le cattiverie, le meschinità degli uomini che si sono susseguiti nello scenario maestoso del gran Lago. Ma non bisogna esagerarne le conseguenze. Non si ebbero né massacri, né grandi battaglie. La superiore volontà dei capitani non ha mai importunato gravemente né i pescatori né i proprietari dei pescherecci.  Dietro un bonario dialetto essi nascondevano uno spirito di ironia che ha loro permesso sempre di non cadere negli eccessi.

 

 

Le ultime costruzioni militari sul Lemano

disegno di O.Gonet  

 

L'autore avrebbe molto piacere a leggere i vostri commentari, critiche o suggestioni (e-mai: ogonet@ctv.es ). Vi assicuro che vi risponderà personalmente.

 

 

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